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CAPITOLO 30

DATA, 27/01/2265



Siamo tornati sulla Terra per partecipare a un importante meeting che coinvolgerà tutti gli ufficiali superiori e l’ammiragliato. È un appuntamento annuale e quest’anno hanno deciso di organizzarlo sulle Dolomiti. Mi chiedo se abbiano tenuto conto che è gennaio e che lassù farà un freddo dannato!


Siamo scesi a Misurina. Oh, il posto di per sé è meraviglioso. Un paesaggio da fiaba ci circonda e non riesco a staccarmi dalla grande vetrata del Resort che dà sul lago antistante. Lo stabile è molto antico, ma è stato ristrutturato a nuovo e pur avendo mantenuto l’architettura esterna di fine XIX primo XX secolo, al suo interno, è arredato con i migliori comfort di ultima generazione.


Sono felice che abbiano scelto come location il Veneto, tornare a casa fa sempre piacere. Ho vecchie conoscenze in questa parte di mondo e le ho contattate perché vengano a trovarmi. Intanto ammiro il paesaggio candido e ovattato. Se smettesse di nevicare, uscirei a godermi la neve fresca, ma temo di dover attendere almeno fino all’indomani mattina.


Intanto questa sera ci sarà il Gran Galà e l’alta uniforme sarà d’obbligo. Non mi dispiace affatto, anzi, sono molto curiosa e impaziente di scoprire come hanno organizzato questa serata. Mi preoccupa di più dover essere ligia all'etichetta, è una cosa che mi mette sempre in ansia, anche perché nove volte su dieci, accade qualcosa che m’impedisce di rispettarla.


 

La sala preposta al Gran Galà era brulicante di persone. Non solo Ufficiali e Ammiragli ma anche ambasciatori, accompagnati dalle loro consorti. Varie specie diverse di umanoidi e non, colori, lingue e culture diverse, mischiate in un arcobaleno di colori e suoni, creavano un frastuono caleidoscopico.


In compagnia di Spock, McCoy, Kirk e Uhura ci facemmo strada verso il centro della strada per prendere posto, ma a causa della folla, ben presto ci trovammo separati. Infilandomi tra i varchi, mi trovai prima affianco del buffet, del quale ammirai le quantità pantagrueliche di cibo e bevande preparate e dal quale presi un paio di tartine. Poi, zigzagando arrivai fino a una grande vetrata e rimasi incantata a guardare fuori. La neve scendeva lenta a larghe falde, il lago e la strada illuminati dai lampioni, avevano riflessi argentei e dorati, anche senza essere fisicamente all’aperto, solo guardando il paesaggio, potevo percepire la quiete e il silenzio che lo avvolgeva.


Trovai una sedia e mi sedetti accanto alla finestra e immersa nei miei pensieri, quasi non mi accorsi del silenzio sceso in sala, fu solo quando si spensero le luci e si accesero quelle sul palco che mi ridestai, ricordandomi dove fossi.


Ci furono vari interventi di vari ammiragli, con i loro soliti discorsi formali e pomposi. Mi accorsi ben presto che più che interessarmi i loro discorsi, m’interessava il paesaggio esterno e dopo un certo periodo, accorgendomi che iniziavo ad assopirmi, iniziai a sentire il bisogno di aria fresca. Con discrezione mi alzai dalla sedia e cercando di non disturbare nessuno, uscii dalla stanza, salii in camera a prendere il cappotto e gli stivali e poi uscii all’aperto.


L’aria pura e fredda mi tolse dal torpore e la neve, iniziò a posarsi sui miei capelli, potevo sentirla appoggiarsi e sciogliersi su di essi, avevo dimenticato il berretto e il cappotto non aveva cappuccio, ma non diedi alcuna importanza alla cosa. Invece, diedi importanza al toccare la neve, all’annusarla e all’assaggiarla. Erano anni che non la vedevo e non mi ero mai resa conto di quanto mi fosse mancata.


Correndo, per quanto la neve fresca mi rendesse possibile tale andatura, percorsi tutta la ciclabile e arrivai al lato opposto del Resort e fu con meraviglia che lo vidi immerso totalmente nella neve. Le luci della facciata lo illuminavano a giorno e gli conferivano un aspetto caldo e accogliente, ma in quel momento al brusio al suo interno, preferivo il silenzio della neve.


Il lago ghiacciato e ormai totalmente imbiancato, rifletteva le luci del Resort e dava luminosità al paesaggio, se avesse smesso di nevicare e la notte fosse stata limpida, avrei potuto vedere il Gruppo del Sorapìss, retrostante al Resort. Ma, purtroppo non accennava minimamente di smettere di nevicare e iniziando a sentire freddo a mani, piedi e orecchie, decisi di fare un’ultima corsa e rientrare.


Purtroppo, nella corsa di ritorno incespicai un paio di volte e mi trovai sulla soglia del Resort a scrollarmi alla bene e meglio la neve dal cappotto e quasi inutilmente dai capelli, ormai bagnati e innevati. Mi guardai le mani e mi accorsi quanto fossero diventate rigide e verdognole dal freddo. Intirizzita entrai nella hall e alla chetichella m’infilai nel primo ascensore libero e andai in camera a cambiarmi.


 

Fu con sollievo che misi le mani sotto l’acqua calda e successivamente mi asciugai i capelli. Quando ebbi riacquisito un aspetto presentabile ridiscesi nella sala del gran galà e fu con mia sorpresa che mi accorsi che la sala era stata risistemata e che ora, erano già tutti seduti ai tavoli e stavano già cenando.


Con passo il più calmo e elegante possibile, mi avvicinai al tavolo assegnato ai miei compagni e fu con imbarazzo che notai come fossero già all’inizio della prima portata.


«Posso sapere dove eravate finita? Vi abbiamo cercato dappertutto.»

«Chiedo perdono Capitano, ho avuto un contrattempo...»

«Contrattempo lungo direi, visto che non vi ho più visto dal nostro arrivo in sala.»


Il tono duro e lo sguardo truce non mi rendeva facile imbastire una difesa, tuttavia feci il tentativo.


«La folla ci divise appena entrati in sala, io non vi vidi più e rimediai una sedia accanto a una di quelle finestre e poi, durante i vari interventi provai una sensazione di bisogno d’aria e sono uscita.»

«Il vostro bisogno di aria è durato a lungo, visto che vi siete assentata per quasi due ore.»

«Fuori c’è un panorama fantastico e mi sono lasciata prendere da un profondo stato meditativo...»

«Spiegato il motivo per cui in camera vostra mancasse il cappotto, ma non capisco come mai vi siate cambiata anche le scarpe.»

«Beh, Spock, non potevo uscire con tutta quella neve, con le scarpe da sera e se sono rimasta fuori quasi due ore, come ha detto il Capitano, è stato un bene. Già, avevo dimenticato di portare con me guanti e berretto.»

«Doveva essere veramente un’emergenza la tua, perché non ti sia ricordata o non ti sia presa il tempo di prendere con te guanti e berretto.»

«Beh, dottore non è stato lei a dire che il freddo tempra?»

«Avremo modo di riparlare di questo vostro comportamento, più tardi, in privato.»

«Sì, signore.»


La cena proseguì senza incidenti, anche se Spock non smise mai di tenermi sott’occhio anche nei momenti più rilassati di conversazione con McCoy, Uhura e con il Capitano stesso.


Durante la cena e soprattutto sul finire, molti Ufficiali e anche alcune autorità dell'Ammiragliato vennero a salutare Spock e il Capitano. Alcuni di essi, s’informarono se Kirk avesse impegni il mattino seguente e alla sua risposta negativa, lo invitarono a partecipare ad alcune attività.


Alcuni inviti vennero estesi automaticamente anche a noi, ma mi guardai bene dall’impegnarmi con qualcuno di loro, anche perché Spock rispondeva anche per me e quindi mi limitai a rispondere educatamente, che li ringraziavo per la loro proposta, ma che ancora non sapevo quali fossero gli impegni per il giorno seguente e che avrei partecipato solamente, se il Capitano me ne avesse dato il permesso.


In realtà, ad alcune attività avrei partecipato più che volentieri, ma due occhi mi fissavano con troppa intensità, perché me la sentissi di aggiungere altre frasi.


La prima a lasciare il tavolo e a ritirarsi nel suo alloggio fu Uhura, seguita poco dopo da McCoy.

«… Signor Spock, domani mattina ho deciso di prendermi qualche ora di riposo e di prendere parte alla prima lezione di sci da discesa.»

«Capitano, le vorrei...»

«Sì, Spock lo so, starò attento. Perché invece, non prende parte anche lei?»

«Capitano, per i vulcaniani l’idea di riposo è molto diversa da quella umana e poi, potrebbe essere interessante occupare la giornata facendo dei rilevamenti sul territorio. La neve per me è un avvenimento più insolito che raro, da analizzare in prima persona e, questa è l’occasione giusta.»

«Sì farà aiutare da qualcuno?»

«T’Ile mi farà da assistente.»

«Ma, veramente io...» abozzai una protesta che morì sul nascere

«È un ordine. Domani voi verrete con me.»

«Spock, state ancora usando con lei il "Codice di Comando Vulcaniano"?»

«Naturalmente Capitano, non ho ancora raggiunto risultati soddisfacenti perché esso venga sospeso.»

«Capisco, d’altronde anche questa sera ha fatto di testa sua.»

«Esattamente e quando saremo in privato, ne parleremo. La motivazione fornita precedentemente non la ritengo soddisfacente.»


Kirk poco dopo ci congedò e appena giunti in camera mia, per non protrarre la situazione troppo per le lunghe dissi a Spock il motivo per cui ero uscita e la cosa non gli piacque affatto.


 

Il mattino seguente, aveva smesso di nevicare e una giornata di sole e cielo limpido iniziava ad annunciarsi, ma Spock, pensò bene di farmi trascorrere una prima mezza giornata noiosissima, facendomi analizzare con il tricorder le cose più inutili e assurde, in luoghi dove potevo vedere e udire le persone ridere e divertirsi. Lo aveva fatto di proposito a scegliere quei posti, per farmi rodere il fegato, ma decisi comunque di portare pazienza e di svolgere il mio inutile lavoro. A mezzogiorno quando gli consegnai il rapporto, per poco non gli risposi “col cavolo!” quando mi disse che avrei dovuto analizzare un’altra zona e raccogliere ancora campioni nel pomeriggio, perché secondo lui quel mio primo rapporto, non era completo. Nuovamente ingoiai il mio malumore e dal dopo pranzo fino ai primi raggi del tramonto, (circa le sedici del pomeriggio) raccolsi i campioni richiesti e completai il rapporto della mattina.

«Bene T’Ile, ora potete andare a divertirvi.»

«Ora che sta venendo buio? Veramente!»

«Vorrà dire che la prossima volta lavorerete con maggior velocità ed efficienza.»


Lo fulminai con lo sguardo, ma protestare contro la sua calma non sarebbe servito a nulla. Fumante di collera me ne andai verso il Resort e lo lasciai da solo.

Mentre mi avvicinavo al Resort, iniziai a udire del vociare, come se un gruppo di persone si stessero divertendo in una qualche competizione. Accellerai il passo e quasi correndo raggiunsi il luogo dal quale provenivano le voci. Una partita di calcio era in corso.


Conoscendo il gioco e potendo vantare anche una certa abilità tecnica, mi feci avanti ed essendoci anche il Capitano tra i giocatori, mi fece entrare in squadra. Undici contro undici, il campo era di proprietà del Resort ed era stato pulito abbastanza bene, anche se il terreno indurito dal gelo, rendeva dolorose le cadute, ma i giocatori si divertivano e davano ben poca importanza a certi dettagli. Non avevo indosso le calzature migliori per il gioco del calcio, ma mi adattai e cercai di dare sfoggio delle mie abilità di dribbling e di giocate tecniche. Gli avversari erano agguerriti, ma non avevano una mezza vulcaniana in squadra e ben presto passammo in vantaggio. Vincemmo per tre reti a due e uno di quei tre goal fu mio, segnato su assist di Kirk.


Rientrammo con una giovialità da adolescenti e fu ridendo e scherzando che io Kirk e McCoy salimmo al nostro piano.

«Quindi ti sei portata a casa il pallone?»

«Eh già Bones. Questo lo terrò di ricordo, oltre che come trofeo della nostra vittoria.»

«Ci sai giocare molto bene a calcio...»

«Beh, ci sono dei ragazzi sull’Enterprise che sono dei veri maestri col pallone. Ho imparato a giocare a calcio, con loro.»

«Sarei curioso di sapere dove hanno ricreato un campo da calcio sull’Enterprise...»

«Beh, l’hangar navette è il luogo che meglio si presta, per questo tipo di gioco.»

«Solo l’hangar navette?» mi chiese con tono sornione il Capitano.

«Signore, ammetto che qualche volta sono stati utilizzati come porta i turboelevatori. Ma, non si sono mai verificati incidenti.»

«Jim è meglio non sapere altro...»

«Concordo Bones. Ma guai a te se ti vedo a farlo!»

«Sì, signore, ma credo che nell’attuale ordine di comando, per me sarebbe peggio, se mi vedesse Spock.»

«Non ne dubito.» rispose Bones.

«Capitano, posso chiederle il permesso?»

«Per cosa?

«Vorrei mostrarle un tiro ad effetto. Vedrà che la palla entrerà nella mia camera, da qui.»


Posai a terra il pallone e mi preparai a tirare.


«Ma come farà il pallone ad entrare, se la porta è chiusa?»

«Bones, la porta l’ho già sbloccata da qui. Da questa distanza il dispositivo di sblocco funziona. Sarà sufficiente far passare il pallone dove ci sono i sensori e la porta si aprirà in tempo.»


Presi gli ultimi accorgimenti e tirai. Il tiro fu perfetto, la palla passò, ma rimbalzò istantaneamente nel corridoio. Ciò che era accaduto si materializzò nel corridoio con una mano sul naso e occhi furenti.


 

«Spock! Che ci faceva in camera di T’Ile?» Bones era visibilmente sorpreso, io avevo solo voglia di fuggire il più lontano possibile e lo sguardo che egli posò su di me, fu così tetro, che con vigliaccheria me la diedi a gambe levate.


Quella sera non ebbi il coraggio di presentarmi a cena, avevo trovato rifugio nella camera di Uhura e Uhura messa al corrente dell’incidente, decise di coprirmi non rivelando dove mi fossi nascosta. Con Uhura ero rimasta d’accordo che mi avrebbe segnalato tramite un suono con il comunicatore, quando Spock sarebbe arrivato a cena, in modo che io potessi uscire dalla sua stanza e andare nella mia, per prendere ciò di cui potevo aver bisogno. In realtà nella mia stanza, ci andai solo per prendere il pallone, poiché temevo che Spock potesse fargli fare una brutta fine.


Purtroppo, galeotto fu il pallone, poiché fu esso a segnalare a Spock dove io fossi nascosta. Spock aveva intuito, che avrei fatto quel tentativo di recupero e nel pallone aveva inserito un geolocalizzatore collegato al tricorder e quando io lo portai nella stanza di Uhura esso segnalò lo spostamento. Non feci nemmeno a tempo di rendermi conto della presenza di quel sensore, poiché fu questione di pochi minuti che sentii la porta della camera di Uhura aprirsi e vidi entrare colui dal quale mi stavo nascondendo. Uhura al suo fianco pareva piccina e spaventata. Spaventata lo era sicuramente, dato che la postura del corpo era di qualcuno che si stava scusando e lasciava trasparire dal volto tutta la propria colpevolezza e mortificazione.


Il tono di voce con cui Spock le parlò fu così calmo ma gelido, che la temperatura nella stanza la sentii scendere vertiginosamente.

«Tenente, la prossima volta non s’intrometta nei miei affari personali.» Uhura atterrita si limitò ad annuire.

«Ho chiesto io Uhura di nascondermi...»

«Voi ora verrete con me!»


In quel momento vidi l'espressione dei suoi occhi e un brivido mi percorse la schiena. Il colore degli occhi gli si era fatto cupo e i lineamenti del viso squadrati, facevano intuire quanto profonda fosse la collera. Purtroppo i lividi di una pallonata in faccia, sotto all’occhio destro erano visibili e il fatto che io me ne fossi accorta, non migliorò affatto la situazione.

«Mi scuso… io non sapevo che vi fosse qualcuno in camera mia… e…»

«Vile!»


 

Aveva ragione, l’essere fuggita era stata proprio una vigliaccata. Avrei dovuto, aver avuto il coraggio di affrontarlo, di scusarmi e di spiegarli al momento i fatti come erano avvenuti. Invece, fuggii a nascondermi come un coniglio. Non avevo reso onore né a me stessa, né al mio rango, né alla mia Famiglia e poi c’era la questione del "Codice di Comando Vulcaniano", che in merito a comportamenti di viltà era molto preciso: Corte Marziale e radiazione dalla Flotta, per disonore.


Negli occhi di Spock già potevo leggere il mio destino. Erano in quel momento sia corte marziale, sia verdetto. “Colpevole!” dicevano e lo dicevano con la forza pacata di un monolite, di una statua vivente, che sapevo avere un forza più morale che fisica. Lo avevo sfidato mille volte e per mille volte me l’ero cavata, ma quel giorno, avevo superato il limite. Ero fuggita e la viltà non poteva essere perdonata. Lui non me l’avrebbe perdonata. I suoi occhi, il suo volto parlavano nel silenzio e io non avevo voce. Gli avrei voluto dire “scusami”, ma era una parola così povera, quasi priva di significato, così scontata di fronte a quel volto, che decisi di abbassare lo sguardo sul pallone e di attendere un suo ordine.


«Prendete il pallone e andiamo!» Ubbidii in silenzio e poco prima di uscire salutai con un cenno di scuse Uhura.


«Cammina davanti a me!»


Senza obiettare procedetti innanzi, mi chiesi dove mi avrebbe condotto, ma mi guardai bene da porre domande e attesi i suoi ordini.


«Cammina in posizione eretta e fa che nessuno si accorga delle tue emozioni!»


Il tono sempre pacato e gelido mi faceva sentire ancora più in soggezione, cercai comunque di obbedirgli e concentrai le mie energie sullo staccarmi emotivamente da quella situazione. Con qualche sforzo alla fine ci riuscii e sentii il mio volto rilassarsi. Avevo convinto la mia mente a vivere quell’esperienza come se fosse in terza persona, in realtà ciò che vedevo era un film e io non ero veramente io, ma una proiezione olografica. Quello stato di coscienza riuscii a mantenerlo fino a quando entrammo in ascensore. Lo spazio stretto e la vicinanza, indebolirono la mia capacità di mantenere lo stato di distacco emotivo e purtroppo, se potevo trattenere le lacrime non potevo trattenere un naso che colava, non avendo sotto mano fazzoletti di sorta, mi asciugai il naso con un polsino dell’uniforme, sperando che quel mio rapido gesto passasse inosservato.


«È con l’uniforme che ci si pulisce il naso?»


Un brivido mi percorse la schiena, nulla gli sfuggiva e sentii un nodo formarmisi in gola, tanto che potei solo scrollare il capo in gesto di “no”.


«Avete perduto la lingua, per caso?»

«No, non ho perduto la lingua, signore. Volevo solo dire che so che non è con l’uniforme che ci si pulisce il naso, ma io non ho fazzoletti con me, in questo momento.»


Feci molta fatica a pronunciare con chiarezza quelle parole, sebbene non lo stessi guardando negli occhi, dal tono potevo intuirne l’espressione e dovetti impormi un controllo emotivo più efficace, se non volevo scoppiare in lacrime e peggiorare ancora di più la situazione. Era il momento di dimostrarmi coraggiosa e provvista di una certa dignità e personalità, non di mettermi a piangere come un’adolescente senza nerbo.


«Voltatevi e guardate in faccia il vostro superiore, quando rispondete a una sua domanda.»


Mi voltai immediatamente stringendo i denti e cercando di avere uno sguardo, un’atteggiamento che mostrasse coraggio e sicurezza. Scacciai dalla mente qualunque pensiero di timore o di paura e cercai dentro di me emozioni come il coraggio e la spavalderia, in profondità ne trovai un lumicino e da esso trassi la mia forza, cercando d’irrobustirlo e di renderlo il più saldo possibile.


«Ferma!» ordinò improvvisamente all'ascensore e quello si bloccò di colpo. Non diedi a vedere alcuna reazione emotiva.


«T’Ile, tu adesso te ne ritorni sull’Enterprise e te ne stai in isolamento nel tuo alloggio. Disubbisci anche a questo mio ordine e sarà l’ultima volta che vedrai l’Enterprise. Sono pronto a firmare un tuo trasferimento immediato e definitivo sulla Soval. Su quella nave, grazie a un mio dettagliato rapporto, se dovessi essere trasferita, ci saliresti da marinaio semplice. Il Capitano Kirk è già stato messo al corrente, che ci sono, sempre secondo il "Codice di Comando Vulcaniano" a cui tu presti obbedienza, gli estremi per una corte marziale con pena l’espulsione senza appello dalla Flotta Stellare. Il futuro è nelle tue mani.»


«Sì, S’haile


Rimasi del tutto impassibile, in perfetto controllo è ciò mi diede una certa soddisfazione personale. Guardandomi prese in mano il comunicatore e si mise in contatto con l’Enterprise.


«Spock a Enterprise.»

«Qui Enterprise, signore.»

«Comunicare alla sala del teletrasporto di far venire due guardie. La tenente comandante T’Ile da far risalire, che sia tenuta sotto scorta. Due guardie sorveglieranno il suo alloggio continuamente. La tenente comandante T'Ile rimarrà in isolamento fino a nuovi ordini.»

«Sì, signore. Guardie in sala teletrasporto,pronte.»

«Molto bene, agganciate il segnale e fatela risalire. Spock chiude.»


Mi mise in mano il comunicatore e il raggio del teletrasporto mi avvolse. Sull’Enterprise due guardie armate mi stavano aspettando e come la materializzazione fu completata, mi scortarono nel mio alloggio.


 

Trascorsero dei giorni molto tristi di totale monotonia, quelle poche volte che la porta del mio alloggio si aprì, potei vedere le guardie poste all’entrata. Fu per curiosità, che richiamai sullo schermo del computer, il rapporto che Spock aveva redatto e che ora pendeva come una spada di Damocle sopra la mia testa, se solo avessi osato uscire dal mio alloggio.


Era veramente completo. Per ogni infrazione era descritta la data e il modo in cui era avvenuta e l’articolo di regolamento violato sia della Flotta che del "Codice di Comando Vulcaniano", con indicate la o le pene da comminarsi sia nel caso singolo, sia in caso di recidività. A leggere quel rapporto lungo una trentina di pagine, comprendente anche le relazioni finali degli ufficiali superiori, capii che veramente non avevo scelta.


Spensi il computer, mi buttai sul letto e chiusi gli occhi, ma non per dormire, ma per ricordare le motivazioni che mi avevano spinto ad iscrivermi all’Accademia, agli anni trascorsi in Accademia, ai primi ruoli di responsabilità, alle medaglie ottenute e alle onorificenze conquistate. La nomina a “Miglior Cadetto dell’Anno” per esempio. Mi resi conto che se io ero rimasta una persona amante della libertà, sebbene l’aumentare delle responsabilità, Spock no. Spock era diventato sempre più esigente, controllato, formale e ligio in modo preciso e logico, in una parola: vulcaniano.


Ciò a cui mi avevano messo di fronte era un capolinea: o cambi e rimani sul binario o te ne vai e fai quello che vuoi. Ma, non sarebbe stato sulla Soval che avrei fatto ciò che avrei voluto. Decisi quindi, che avrei lasciato condurre il gioco a Spock, gli avrei riservato obbedienza e allentato la corda, comportandomi in modo più vulcaniano. Ma io, nel mio intimo, sarei rimasta me stessa e per far ciò, avrei iniziato a scrivere la mia biografia, cambiando nomi, situazioni e creando una mia alter ego.


Scrivere, non vìola alcun regolamento - pensai - e nei miei racconti, potrò dare voce al mia “io” interiore!


L’idea mi diede una nuova sfida sulla quale incanalare le mie energie e senza frapporre tempo, fra il pensiero e l’azione, accesi il computer e iniziai a scrivere il mio primo racconto.



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