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CAPITOLO 33

DATA, 06/02/2265



Se mi aspettavo che accadesse qualcosa di straordinario, in realtà mi dovetti ricredere, nelle ore successive di eclatante non accadde nulla. Stavo finendo, in compagnia di Lycia, il rapporto sulla misteriosa scomparsa di una colonia federale, che si stanziò sul pianeta (del quale a breve entreremo in orbita) ma, che da ormai otto mesi non si avevano più notizie, quando Lycia mi chiese: «Giochi con me?»

«Lycia, devo finire questo rapporto. Appena lo avrò terminato, giocherò con te. Promesso.»

«Va bene, ma almeno mi prendi in braccio?»

«Va bene, vieni qui. Però, promettimi di stare buona e in silenzio.»


La bambina mi salì sulle ginocchia e si sedette fra me e la scrivania, per renderla partecipe del mio lavoro, lessi ad alta voce ciò che avevo scritto e continuai a pensare a voce alta, ciò che mano a mano mi apprestavo a scrivere nel rapporto. A meno cinque alle cinque del pomeriggio, il rapporto fu completato e lo inviai a Spock.


«Bene Lycia, ora ho finito. Che gioco mi volevi proporre?»

«Vorrei disegnare un fiore. Tu lo sai fare?»


La feci scendere dalle ginocchia e mi alzai per prendere un foglio di carta e delle matite, poi sul foglio disegnai una grande margherita e diedi il foglio a Lycia perché vedesse il disegno.


«Oh, che bello! Che fiore è?»

«È una margherita terrestre, ne hai mai viste?»

«Oh, sì. Papà me ne ha mostrate su alcuni libri, ma non è ho mai viste dal vero e tu, sì?»

«Sì, sulla Terra è un fiore comune. Ha la corolla bianca e a volte i petali hanno delle sfumature rosee, il gambo e le foglie, invece, sono verdi.»

«Mi aiuti a colorarla?»


Sedendomi nuovamente con accanto Lycia, presi alcuni colori e iniziai a colorare il fiore. I minuti trascorrevano tranquilli, quando ad un tratto sentimmo la porta aprirsi ed entrò Spock. Posai la matita sul foglio e mi alzai in piedi.


«S’haile

«Come state procedendo con il rapporto?»

«L’ho terminato e ve l’ho inviato nel vostro computer.»

«Soddisfacente. Ora, cosa state facendo?»

«Oh, ora… sto aiutando Lycia a colorare una margherita.» Lo vidi alzare un sopracciglio in segno di perplessità.

«Signore, ho chiesto io a T’Ile se poteva disegnarlo.» s’intromise Lycia.


Guardai Lycia interdetta e Spock sempre con un sopracciglio alzato, prima guardò la bambina e poi guardò me. Passarono alcuni secondi di silenzio.


«A breve arriveremo in orbita del pianeta e una squadra, dovrà sbarcare sul pianeta e indagare sulla scomparsa della colonia. Duecentotrenta coloni erano presenti su questa pianeta e da otto mesi, di loro non si hanno più notizie. Voglio che scendiate e che facciate un rapporto completo di ciò che è successo.»

«Sì, signore.»

«Vi devo avvisare che non scenderete da sola, ma con voi vi sarà anche il tenente biologo Laurence.»

«Il padre di Lycia?!» non riuscii a trattenere una reazione di sorpresa, mista a preoccupazione.

«Esattamente, ed egli sarà sotto la vostra responsabilità.»

«In che senso sotto la mia responsabilità? Voi non verrete?»

«No, io dovrò rimanere in plancia.»

«Quindi, il Capitano scenderà con noi?»


Accadeva spesso che se il Capitano scendeva in missione, Spock rimanesse in plancia a comandare la nave e a quel pensiero mi sentii più sollevata.


«No, il Capitano rimarrà sull’Enterprise. Voi guiderete la squadra di sbarco.» lo guardai chiedendomi se fosse impazzito.

«Sotto quale comando dovrò guidare la squadra sul pianeta?»

«Sta a voi deciderlo, ma sappiate che in caso di fallimento della missione, voi ne risponderete sia al Comando Vulcaniano, sia alla Flotta Stellare.»

«E in caso di successo?»

«In caso di successo… il Capitano sta valutando di promuovere alcuni ufficiali e, anche se trovo del tutto illogica la sua scelta, sta pensando d’inserire anche il vostro nome in quella lista. Se la missione si rivelasse un successo, guadagnerete sicuramente dei punti che vi porterebbero più vicina alla promozione.»


I miei occhi dovevano brillare d’entusiasmo, perché quasi con enfasi, accettai il comando della missione.


«Va bene, mi assumo la responsabilità di comandare la missione, però nella squadra, chiedo che sia aggiunto anche il nome di McCoy, dell'infermiera Chapel, del signor Chekov e che vengano con noi cinque uomini della sicurezza.»

«La missione è vostra, potrete portare con voi, chi meglio vi aggrada.» e detto ciò, girò i tacchi e uscì dalla stanza.


«Il mio papà tornerà vero?» quella voce mi riportò alla realtà e abbassando lo sguardo incrociai il visino preoccupato di Lycia. Vedere quegli occhi azzurri, solitamente sorridenti, diventare seri e indagatori, mi diedero il peso della responsabilità che mi ero presa.

M’inginocchiai di fronte a lei e la presi per le spalle, guardandola dritta negli occhi.


«Lycia ti prometto che farò il possibile, perché a tuo padre non accada nulla.»


Detto ciò, mi rialzai e posizionando le dita nel saluto vulcaniano la salutai, lei mi rispose allo stesso modo pronunciando un sussurrato: «Buona fortuna.»

Lasciai la stanza con una sensazione cupa: se fosse successo qualcosa alla squadra e in particolar modo al padre di Lycia, non sarei mai riuscita a perdonarmelo.


Raggiunsi la sala del teletrasporto e notai che i membri della mia squadra erano già pronti per scendere, senza star troppo a pensare, diedi l’ordine di salire sulla pedana e con voce decisa dissi: «Energia!»


 

Il raggio del teletrasporto ci avvolse e un attimo dopo, ci trovammo sul suolo alieno. Il paesaggio attorno a noi era quanto di più arido, sterile e polveroso potessimo incontrare. Lasciando il tempo ai membri della squadra di rendersi conto di dove fossero, io accesi il comunicatore «Enterprise, parla T’Ile.»

«Qui Enterprise, parla Spock. Parli pure T’Ile, siamo in ascolto.»

«Qui al momento tutto bene, se non fosse per il paesaggio completamente arido. Al momento non sembrano esserci pericoli imminenti. Vi terrò aggiornati, T’Ile chiudo.»


Feci cenno alla mia squadra di metterci in cammino, verso il luogo in cui sorgeva la colonia.

«Alcun segno di vita tenente Laurence?» chiesi.

«No, signore, al momento non rilevo ancora nessun segno di vita.»

«Né umana, né animale, tenente?»

«No, nulla.»

«Guardiamarina Chekov?»

«Nemmeno io rilevo nulla, signore.»

«Bones, come può essere che non vi sia vita né animale, né umana? Cosa può essere successo qui?»

«Non lo so, forse una pandemia o una carestia o un avvelenamento...»

«Di massa dottore, possibile?»

«Signore, il mio tricorder rileva qualcosa! A circa un chilometro da noi, verso nord est!»

«Analisi signor Chekov.»

«Beh, non saprei… è strano...»

«Cosa è strano? Su Chekov, parli! Tenente Laurence dia una mano a Chekov a leggere quei dati. Voglio un rapporto, subito.»


I due si misero a consultare i dati, mentre io scrutavo l’orizzonte, mi venne in mente anche di appoggiare un orecchio a terra, per udire le vibrazioni del terreno e determinarne la forza e la quantità. Fu allora che mi resi conto che non era solo una “cosa”, ma molte.


«Al riparo, presto!»


Ci mettemmo a correre e trovato un anfratto nel terreno, c’infilammo in esso e richiamai l’Enterprise.


«Ci sono delle “cose” sul pianeta, che stanno venendo verso la nostra direzione. I sensori della nave, hanno rilevato nulla?»

«Sì, sono degli animali.»

«Laurence, Chekov allora con il rapporto? Che animali sono?»

«Aracnidi giganti, signore.»

«Cosa?! Spock, ha sentito? Può confermare?»

«Sì, ho sentito e posso confermare.»

«Spock, lei lo sapeva?!»

«Che nel pianeta ci fossero aracnidi giganti? No, nel rapporto che mi è stato consegnato, non parlava di tale tipologia di animali.»


Mi trattenni dall’imitare una delle tipiche imprecazioni di McCoy, poiché il rapporto che aveva citato Spock, glielo avevo consegnato io stessa e no, che ci fossero animali del genere sul pianeta non me ne ero accorta, possibile che avessi commesso un errore così grossolano, eppur’anche tanto grave?


«Spock, prima che noi scendessimo su questo pianeta, lei aveva rilevato con i sensori queste forme di vita?»

«Sì, certo.»

«E perché allora, non mi ha detto nulla?!»

«Sarebbe scesa, se glielo avessi detto?»


Mi dovetti morsicare un’altra volta la lingua. Dannazione, io ho sempre avuto una repulsione fobica agli aracnidi di ogni specie e forma, ma non avevo mai ammesso quella paura infantile, poiché sarebbe stato folle, per un esploratore dello spazio, che va alla scoperta di nuovi mondi e civiltà, affermare di avere paura dei ragni e delle ragnatele! E pure, per me era così e Spock, che mi conosceva molto bene, da tanti (troppi) anni, sapeva del mio segreto, ma non aveva mai detto nulla a nessuno, almeno fino a quel momento.


«Spock, se ritornerò sulla nave viva e vegeta, le garantisco che io e lei ci faremo un bel discorsetto. Qui T’Ile, chiude.»


Avevo parlato con tono deciso, ma in realtà avevo una paura folle dentro di me. Per un attimo chiusi gli occhi, respirai profondamente e mi staccai emotivamente da quella situazione. Non potevo farmi prendere dal panico, avevo la vita di nove persone sotto la mia responsabilità e ciò era molto più importante del ribrezzo per dei ragni, seppur giganti. Tolsi il pensiero dagli aracnidi che stavano arrivando e mi concentrai sull’obiettivo della nostra missione. Fu sufficiente, a dire il vero, ricordare la promessa fatta a Lycia e l’espressione preoccupata, seppur fiduciosa, del suo sguardo. Quando riaprii gli occhi osservai attentamente il volto del tenente Laurence e poi i volti del resto della squadra, successivamente impartii gli ordini.


«Voglio tre uomini della sicurezza a protezione del tenente Laurence e due uomini a protezione di McCoy e dell'infermeria Chapel. Impostate i phaser al massimo livello di stordimento. Non voglio che uccidiate i ragni giganti, ma solo che li stordiate. Uno di loro dovrà essere teletrasportato sull’Enterprise perché sia esaminato. Avete capito?»


Tutti diedero risposta affermativa, poi proseguii a illustrare il piano.


«Una volta che ci saremo fatti largo con i phaser, correremo verso la colonia, che ora dista a circa un kilometro e settecento metri da qui, in direzione nordovest. Le guardie di sicurezza assegnate al tenente Laurence e al dottor McCoy e all'infermeria Chapel, dovranno fare il possibile per proteggerli in caso di pericolo o di attacco e aiutarli nel caso di soccorso ai sopravvissuti, nel caso ne trovassimo. Guardiamarina Chekov, voi verrete con me e come il tenente Laurence, raccoglierete campioni di terra, di vegetali e se vedrete insetti o qualunque tipo di essere vivente, fosse anche un batterio, li analizzerete. Io cercherò di raggiungere il centro operativo e di comunicazione della colonia, voglio raccogliere dati dai computer, per capire cosa sia successo a loro e a questo pianeta. Non prendete alcuna iniziativa, senza mio ordine. Intesi?»


La risposta di tutti fu nuovamente affermativa e poi ci preparammo a fare «FUOCO!»


I ragni ci furono addosso in un attimo e per quanti ne abbatessimo, tanti altri se ne facevano avanti. Si accavallavano l’uno sull’altro e quando capii che presto ci avrebbero sopraffatto, diedi l’ordine di lasciare la postazione e di affrontare il nemico a viso aperto.


 

«Phaser impostati su modalità disgregamento, ora!»


E feci fuoco per prima sui ragni che come un muro di trincea, ci sbarravano la strada e sui quali i loro compagni, salivano per provare a pungerci con i loro pungiglioni e zampe acuminate. I miei uomini fecero lo stesso e la trincea si dissipò. Il varco era stato creato e la paura negli aracnidi li aveva fermati, usai quei secondi di disorientamento nel nemico, per correre il più veloce possibile verso la colonia. Purtroppo, il disorientamento negli aracnidi durò poco.


«Ci stanno inseguendo e presto ci raggiungeranno!» urlò McCoy.

«Sicurezza, continuate a sparare. Colpite il terreno e alzate la polvere!»

«Sarà sufficiente?» sentii chiedere da Chekov.

«Guardiamarina Chekov, lo spero. Continui a correre!»


Arrivammo esausti alla colonia, ma non avevamo tempo per fermarci a riprendere fiato e così detti l’ordine di iniziare la fase numero due del piano e io mi recai alla ricerca del centro operativo coloniale.


L’ambiente era spettrale. Tranne i ragni giganti non avevamo ancora visto anima viva di nessun altro genere. La colonia sembrava una cittadina del vecchio Far West americano, completamente abbandonata, con gli scuri che sbattevano e cigolavano ad ogni folata di vento, rendendo il luogo ancora più desolato e sinistro. Il mio udito, inoltre, teso per carpire anche il suono più sommesso e indistinto, amplificava ancora di più la sensazione di latente disagio e pericolo che era in me.


Mi sentivo tremendamente sola in tutto quel deserto surreale fatto di case, vie e piazze. La tensione nell’aria la si sarebbe potuta affettare con un coltello e fu quasi con sollievo che trovai lo stabile che stavo cercando. Entrai, impugnando e accendendo con la mano sinistra, la torcia che avevo portato con me, mentre con la mano destra, impugnavo il phaser, pronta a fare fuoco su qualunque cosa si fosse mossa.


Con prudenza e lentamente avanzai lungo la stanza.

Muovendo la torcia e illuminando l’ambiente, potei notare una consolle di computer alquanto impolverata, fu nello ripulirla dalla polvere che mi accorsi che era stato attivato il comando di “PERICOLO INVASIONE”.


Mantenendo i nervi saldi, accesi il computer e collegai il tricorder al computer affinché scaricasse tutti i file al suo interno, in modo che, una volta tornati sull’Enterprise, quei dati fossero stati possibile analizzarli al fine di ricostruire gli ultimi otto mesi di vita, di quei poveri coloni. Mentre il tricorder salvava i dati, io chiamai l’Enterprise.

 

«Enterprise, qui T’Ile.»

«Parlate pure, vi ascoltiamo.»

«Siamo stati attaccati dai ragni giganti, ma siamo riusciti a raggiungere la colonia. Sono riuscita a trovare il centro operativo e ho collegato il tricorder al computer della colonia. Il tricorder sta scaricando i dati, ma la cosa che mi preoccupa è che i coloni abbiano inserito il comando di pericolo invasione. Se gli aracnidi giganti non fossero animali, ma creature senzienti, dedite allo sterminio e alla devastazione, qui saremo in grave pericolo...»


Non feci neppure a tempo a finire la frase, che un «AAAAAAHHHHH!!!!» giunse disperato alle mie orecchie.


«Enterprise, fate immediatamente risalire la squadra e teletrasportate anche il tricorder. Qui T’Ile chiude!»


A velocità curvatura mi catapultai in strada e con orrore a meno di cento metri da me, vidi un ragno gigante che stava attaccando l’infermiera Chapel, mentre gli altri cercavano di abbatterlo con i phaser, ma quel gigante non pareva dare segni di risentirne. Chapel era ormai sotto alla sua pancia e fu con atterrito sbigottimento che vidi il tenente Laurence fare da esca, per distrarre l’aracnide dalla sua preda.


Con un’idea, un obiettivo solo nella mente, scattai in direzione di quella bestia e con un balzo mi aggrappai ad una sua zampa e nel tentativo di liberarsi da me, la alzò avvicinandola alla sua testa.


Fu la mossa che volevo. Mi lasciai cadere sulla sua testa, accanto ad un enorme occhio e avvenne il contatto mentale.


«Casa - casa - casa» diceva il ragno.

«No casa, no cibo»

«No casa - no cibo - no casa - no cibo» ripeté.

«No casa - no cibo io andare via, qui no vita»

«No casa - no cibo io andare via, qui no vita» ripeté il ragno e lo ripeté all’infinito, tanto che nella mia testa sentivo solo quelle parole.


«No casa - no cibo io andare via, qui no vita»



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