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CAPITOLO 42

DATA, 23/12/2266

«T’Ile per favore vieni qui?»

«Sì, comandante?»

«Come procedono i preparativi per il 25 dicembre?»

«Procedono bene signore. Ormai non restano che da sistemare gli ultimi dettagli.»

«Molto bene, è stato molto chiaro in merito e dalla vostra squadra andrà non si aspetta noi niente di meno di un lavoro soddisfacente.»

«Sì lo sappiamo, il Capitano non rimarrà deluso dal nostro lavoro. Se non c'è altro signore...»

«No, un’altra cosa che ti devo dire c’è: l’ambasciatore Sarek e sua moglie saranno presenti al concerto del 25. Sai già che comportamento dovrai avere. Puoi andare.»


Ma invece di andarmene, rimasi come gelata sul posto a guardare attonita la parete posta di fronte e sussurrai: «Perché?»

«Non c’è alcun perché di importanza rilevante, è così e non v’è altro di cui discutere.»

Sentii la bile salire… c'erano un sacco di cose invece di cui discutere a cominciare dal perché avessero scelto proprio la data del venticinque e perché proprio l’Enterprise! Quella notizia mi aveva messo addosso una tale agitazione, che il tono con cui chiesi chiarimenti fu quasi furente.

Di contro Spock se ne stava a guardare il computer senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, del tutto impassibile e indifferente. Mi sentii divampare ancor di più e non riuscendo più a trattenermi gli arrivai alla scrivania e facendo quasi calare un pugno sul tavolo, lo obbligai a guardarmi. Il suo sopracciglio alzato e il suo sguardo freddo, mi fecero ricomporre e mi allontanai. Con fare misurato si alzò dalla sedia e girando attorno alla scrivania venne a porsi di fronte a me, con una tale gravità che mi parve più alto di quanto non fosse in realtà. Deglutii e rimasi in piedi, immobile in attesa. Passarono alcuni secondi o forse minuti di assoluto silenzio.


«Potete andare.» sorpresa lo fissai in volto, ma non aggiunse altro e tornò a sedersi, a quel punto non mi rimase far altro che andarmene. Mi sentivo come fossi stata in una centrifuga, andai nell’hangar navette con un umore alquanto funereo e la vista degli addobbi non fece che aumentare il mio disagio.


Le restanti ore di servizio furono un vero inferno: tutto mi pareva sciatto e l’atteggiamento del personale alquanto lascivo. La prima cosa che notai fu che gli addobbi non erano simmetrici per tre millimetri e ciò mi dette fastidio, richiamai la squadra, ma parvero prendere con assoluta leggerezza il mio rimprovero e ciò mi irritò ancor di più. Poi, fu la volta delle palline sugli alberi, che non erano sulla stessa linea e le file orizzontali pertanto, davano un senso di disordine. La mia osservazione questa volta sollevò qualche commento di protesta, ma preferii soprassedere.


Quando il turno finì e feci per recarmi nel mio alloggio pensando di potermi finalmente rilassare, ecco che ricevetti l’ordine di presentarmi immediatamente a rapporto dal Capitano, quando entrai nel suo alloggio capii che era successo qualcosa di grave.


«Tenente Comandante T’Ile, siete stata convocata perché sia io che il Comandante Spock abbiamo ricevuto dei rapporti ufficiali di protesta per come ha trattato alcuni sottoposti, nel turno odierno. Lei a questi rapporti come risponde?»


Raccontai in sintesi ciò che avevo notato e come avevo ordinato venisse modificato e sistemato.


«La sua solerzia le fa onore, ma trattasi di dettagli di nessuna importanza, almeno per un equipaggio umano...»

«Se mi permette Capitano il 25 avremo come ospiti l’ambasciatore Sarek e sua moglie, non ritengo le mie osservazioni, delle “quisquiglie”, anzi, tutt’altro! Io tengo molto che l’Enterprise e tutto l’equipaggio sia all’altezza degli illustri ospiti, tuttavia, se sono stata poco vellutata con l’equipaggio durante il servizio odierno, me ne scuso.»

«Capisco le sue motivazioni, ma la esorto a essere più conciliante verso l’equipaggio, specialmente in questi giorni di festa. Ora, può andare.»

«Sì, signore, va bene. Grazie.»


Quando tornai nel mio alloggio mi accorsi di quando fossi tesa e nervosa. Per rilassarmi ordinai al computer di riprodurre alcune composizioni di Mozart e andai a farmi una doccia sonica, tuttavia mi accorsi ben presto che c’era un solo pensiero ricorrente che mi creava tanto nervosismo: l’arrivo dell'ambasciatore Sarek e di sua moglie. Anche se i rapporti si erano riappacificati, comunque rimanevano formali e molto freddi. Avevo davvero poca voglia d’incontrarli e il pensiero di dover cantare davanti anche a loro due al concerto, mi metteva un tale nervosismo, da farmi augurare di avere la febbre rigelliana, pur di poter evitare qualunque contatto con loro.


Me ne stavo nella penombra, sdraiata sul divano, con lo sguardo nel vuoto che il suono del campanello della porta mi fece sobbalzare: «Avanti!» dissi.

E in quello entrò Spock: «Posso?»

«Certamente.»

«Solitamente non te ne stai al buio...»

«Ho voglia di solitudine.»

«Allora me ne vado.»

«No, rimani… Non è logico vero?»

«No.»

«Non sarò mai...»

«Una di noi? No, credo di no.»


E poi d'istinto lo abbracciai forte, soffocando fra le pieghe della sua uniforme i singhiozzi che con forza mi scuotevano le spalle. Restammo nella penombra, in silenzio abbracciati per molto tempo, poi sfinita dovetti essermi addormentata, perché mi sono svegliata poco fa e…: «Computer, che ore sono?»

«Le nove zero zero.»

«Oh diavolo, sono in ritardo! Computer salva diario! Sala prove... arrivo!»

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